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martedì 19 gennaio 2010

Il collo della giraffa e le fragole con il gene del merluzzo

Ispirato e incoraggiato da questo interessantissimo articolo di Dario Bressanini e dalla bufala sul bando alle coltivazioni biologiche, mi sono deciso a tirare fuori dal cassetto questo articolo sugli OGM. Non vedetelo come una difesa a oltranza degli organismi geneticamente modificati, ma come una difesa a oltranza della ricerca scientifica.
Buona lettura.
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Iniziamo con la giraffa: come è possibile che la giraffa abbia sviluppato un collo lungo a partire da uno piccolo? I caratteri acquisiti non sono trasmissibili. In realtà dipende da come questi caratteri sono stati acquisiti. Il carattere in questione, chiamiamolo collo lungo, può essere acquisito in due modi differenti: con l'allenamento, alla nascita. Nel primo caso, a furia di spingersi verso l'alto e mangiare le foglie migliori, il cucciolo svilupperà un collo sempre più lungo; i suoi figli, però, per mantenere il vantaggio sugli altri individui della loro specie, dovranno continuare ad allenarsi, non potendo ereditare il collo lungo per via genetica: un modo poco fruttuoso per mantenere un vantaggio sui propri simili. Ragioniamo invece in quest'altro modo: supponiamo che ad un certo punto nella storia dell'antenato della giraffa spunti una mutazione genetica per cui alcuni cuccioli presentano un collo più lungo dei genitori. Nella lotta per la sopravvivenza questi cuccioli saranno sicuramente avvantaggiati relativamente all'evento mangiare le foglie più in alto e come avviene sempre in natura coloro che acqusiscono un vantaggio genetico sono attratti uno verso l'altro e tendono così a riprodursi e a diffondere e rinforzare nel tempo la mutazione, ovviamente fin tanto che questa continua a essere effettivamente utile. Il resto del gruppo, vista la sconfitta, darà origine a una specie differente specializzata in altri tipi di alimentazione o più semplicemente si estinguerà.
Questo secondo meccanismo che ho descritto è plausibile e, se vogliamo, è stato anche verificato dai pescatori di mezzo mondo: il pescato di molti pesci oceanici è peggiorato negli ultimi 20 anni in qualità. I pesci che giungono sulle nostre tavole, infatti, sono diventati sempre più piccoli, e questo perché l'alta intensità con cui si è pescato nelle acque di mezzo mondo ha selezionato gli individui con le dimensioni più piccole, ovvero ha reso inutile il gene lunghezza maggiore a favore di quello lunghezza minore. In pratica la diminuzione dei pesci più lunghi ha reso sempre meno probabile la diffusione del gene in cui erano contenute le informazioni sulle loro dimensioni, apparentemente peggiorando la specie, ma in realtà rendendola più adatta alle nuove condizioni ambientali.
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E ora passiamo alle fragole: ovviamente non so se ci siano effettivamente delle fragole con dentro non l'intero DNA, ma un particolare gene del merluzzo, magari quello nordico, che le renda resistenti al freddo. Supponiamo, però di voler risolvere questo problema: sono un imprenditore agricolo e vorrei portare agli abitanti dei paesi nordici le belle fragole che crescono da noi. Come posso fare?
O migliorare la distribuzione delle fragole (aumentando l'inquinamento) o realizzare una tecnica che mi consenta di far crescere senza problemi le fragole anche nel paese nordico.
Inizia la ricerca: invece di costruire una serra, decidiamo di selezionare un gene che consenta alla fragola di resistere al freddo e la sua selezione può essere portata avanti in due modi differenti, entrambi per certi versi costosi. Il primo cui sto pensando richiede una certa dose di pazienza: coltivare enormi piantagioni di fragole per qualche anno aspettando che nasca spontaneamente una mutazione che renda quelle fragole resistenti al clima rigido. A quel punto con innesti e selezione opportuna dei semi, si potrebbe quindi creare naturalmente la varietà cercata. Il secondo metodo è entrare in laboratorio e costruire il gene che mi serve. Anche in questo caso posso fare in modi diversi: provare alcune combinazioni, utilizzando proteine note e quindi sfruttando le loro proprietà, oppure vedere cosa c'è di pronto in natura e riprodurlo, ovvero non prendere un merluzzo, ad esempio, e togliere dal suo DNA il frammento che mi serve(1), ma costruire un gene che sia simile per prorpietà al gene che dona al merluzzo la resistenza al freddo e inserirlo nel DNA della fragola. Spiegato così l'inserimento di geni di una specie in un'altra ha un sapore meno inquietante considerando che esiste una pur piccola ma non nulla probabilità che tale gene spunti naturalmente(2), questo certamente, ma il problema dietro tutto il procedimento non sta tanto nel metodo con cui ho selezionato la mia fragola OGM, ma nelle motivazioni: avere un nuovo mercato per la fragola e poter guadagnare ulteriormente. La varietà di fragola che ho in mente non serve per il nobile motivo di portare il suo gusto a chi non lo possiede naturalmente, ma aprire le mie vendite a nuovi potenziali consumatori. Questo gene, infatti, non fornisce alcun vantaggio alla collettività, nordica in particolare.
Però questa varietà di fragola può essere coltivata in condizioni estreme, e quindi resistere a molti imprevisti climatici, sempre all'ordine del giorno in natura, e quindi potremmo avere sempre fragole sulla nostra tavola. Al che rispondo: piuttosto rinuncio alle fragole! Nessuno mi obbliga a mangiare fragole e le vitamine che mi fornisce posso trovarle in altri alimenti, senza contare che le fragole eterne rompono la varietà e la stagionalità del cibo, una delle poche cose che rendono alimentarsi qualcosa di più della semplice sopravvivenza.
In questi secoli abbiamo stravolto il concetto di sopravvivenza attraverso politiche economiche che invogliavano al consumo eccessivo delle risorse e dimenticandoci del nostro impatto sull'ambiente. L'uomo, però, è una specie tecnologica e scientifica e ha la possibilità di comprendere in che modo influenza l'ambiente e quindi preservare le condizioni per la propria sopravvivenza.
Non nascondiamoci dietro a un dito: cambiare abitudini alimentari ed energetiche non vuol dire anche influenzare e controllare l'ambiente in cui viviamo in maniera differente e più consapevole. In questo senso non c'è nulla di naturale, nel senso di qualcosa che procede per i fatti suoi. Senza contare che questa distinzione tra naturale e non è artificiosa, perché implica l'accettazione del concetto che non facciamo parte della natura e dell'ambiente in cui viviamo.
Per migliorare su questa strada, però, sono necessarie le ricerche, sia quelle sul clima, sia quelle sugli organismi geneticamente modificati: esse non presentano nulla di cattivo, al massimo cattivo potrebbe essere il loro uso, in linea con la filosofia del capitalismo e del liberismo, ovvero guadagnare anche a discapito del pianeta stesso(3).
Ribadendo, pertanto, la necessità di appoggiare la ricerca in generale e anche quella sugli ogm, non mi resta che provare a immaginare una possibile strada futura: il biologico, per come penso debba essere concepito oggi, è un modo per riscoprire e armonizzare una serie di conoscenze nei campi più disparati come la conoscenza delle piante e dei loro rapporti con insetti ed erbacce, in modo tale da utilizzare ciò che ci offre la natura per coltivare con il massimo rendimento e a bassissimo impatto(4). Se combiniamo questo modo di fare biologico con le tecnologie genetiche potremmo probabilmente non solo riscoprire alcuni sapori del passato, ma riuscire a limitare anche l'impatto delle stesse modifiche genetiche, fermo restando uno studio approfondito e preventivo su quali conseguenze queste modifiche potrebbero indurre(5).
I più attenti ed esperti avranno notato nel discorso qualche semplificazione e inesattezza: ne sono consapevole ma l'idea di fondo di questo intervento era ed è ribadire la centralità della ricerca scientifica. Le sue scoperte e le sue innovazioni non sono né buone né cattive, ma lo è il loro uso che, ispirandomi a Renato Dulbecco, dovrebbe essere dettato dal chiedersi se una innovazione può rendere veramente migliore la vita quotidiana degli individui al di là di ragionamenti puramente economici.

P.S.: ringrazio il lettore che è sopravvissuto fino a questo punto, scusandomi per la logorrea, che certamente rivaleggia con quella del buon vecchio zio Marty o dell'altrettanto mitico Pietro Cambi.
(1) Questo sarebbe il primo passo per identificare il gene che mi serve.
(2) Basti pensare alle capacità adattive della zanzara tigre, arrivata ben prima che il nostro clima diventasse ottimo per la sua specie.
(3) In pratica gli studi genetici sono iniziati nel laboratorio di Dulbecco grazie all'arrivo del chimico Paul Baerg. In quel caso il problema da risolvere era avere una certa quantità di un virus particolare per poterlo studiare. L'idea, quindi, è stata quella di inserire il gene del virus all'interno di un batterio che, riproducendosi, poteva così produrre del nuovo DNA da studiare. La ricerca fu interrotta dagli stessi scienziati, che si erano posti queste domande: E' possibile che questo batterio modificato possa diventare un 'superbatterio' che sommerge gli altri? E non è possibile che il virus dei topi, in questo modo, possa trasmettersi anche ad altre specie animali come ad esempio l'uomo? Il gruppo di ricerca ha iniziato a cercare le risposte a queste due domande, e sono state entrambe negative (vedi Scienza e società oggi di Renato Dulbecco, ed.Bompiani).
(4) Per quello che ho scritto sopra, è utopistico pensare a un impatto zero: lo stesso leone che si nutre andando a caccia ha un pur piccolo impatto sul suo mondo, senza contare l'impatto dei pesci sull'oceano.
(5) La QED ci insegna che ogni evento può accadere con una certa probabilità. Nota questa, ma anche le probabilità intermedie tra lo stato iniziale e quello finale, è possibile però indirizzare il sistema verso lo stato finale a noi preferito, e scusatemi ancora una volta se ho semplificato.

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