Non tanto nel senso anagrafico, anche se potrebbe essere statisticamente corretto, ma soprattutto nel senso politico del termine: basti pensare alla gestione delle proteste del mondo universitario ai tagli alla ricerca accademica.
Questi tagli, in effetti, sembrano indicare l'intenzione di portare l'Italia, come altri paesi occidentali, a diminuire il proprio impegno pubblico nella ricerca. L'idea, di per se non sarebbe neanche tanto sbagliata, ammesso, però, di avere nel nostro paese dei privati disposti ad investire nella ricerca. In effetti in Italia sono quasi assenti gli investimenti privati nella ricerca, sia essa tecnologica sia essa la così detta ricerca di base.
I tagli, dunque, sembrano essere un modo per spingere la mano sul sistema universitario, invitandolo a trasformarsi e a diventare appetibile per gli investitori, in un momento in cui molte sedi distaccate sono nate per soddisfare le esigenze di piccole e medie imprese, per nulla interessate alla ricerca scientifica ma più interessate alla formazione di personale, in un momento in cui molte grandi aziende straniere chiudono sedi un po' in tutto il mondo, Italia inclusa.
In tutto questo le lotte dei ricercatori precari di questi mesi spesso passano sotto silenzio, o saltano alla ribalta per caso, magari in occasione di una inaugurazione di anno accademico (vedi ad esempio quella recente dell'Università della Calabria): spesso si viene a scoprire che la lotta per una effettiva riforma universitaria è chiesta a gran voce proprio da loro, i precari dell'università, quelli che spesso vengono dimenticati, e che si trovano a lottare contro coloro che detengono il potere: i vecchi, appunto.
Stomachion
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domenica 1 febbraio 2009
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