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giovedì 11 giugno 2009

Archeologia astronomica

Il 1609 fu un anno magico per l'astronomia, ma questo ormai si sa: Galileo Galilei e Johannes Keplerrivoluzionarono lo studio dei cieli e la comprensione del moto dei pianeti con osservazioni accurate come mai prima (Galilei) e calcoli e leggi ancora oggi validi (Kepler). Tutto nasceva dall'osservazione delle supernove: fu proprio una di queste, nel 1604, che fece interessare Galilei del cielo, e furono quelle del 1609 che spinsero i due scienziati, separatamente, ad occuparsi di misteri fino a quel momento affidati alla religione e ai filosofi aristotelici.
Di eventi di questo genere (esplosioni in cui la stella esplodente espelle parte della sua massa, cambiando in molti casi anche la sua stessa densità) nella storia dell'universo ce ne sono quante le stelle nel cielo, e alcuni di questi sono stati registrati anche prima dell'era di Galileo: ad esempio nella primavera del 1006, gli astronomi osservarono quella che si può definire come la più brillante supernova ricordata nella storia. Giusto 48 anni dopo una nuova supernova nella Nebulosa del Granchio: la nostra attuale conoscenza di questi eventi del passato è basata sui calcoli di astronomi cinesi e arabi, passando per le osservazioni moderne dei resti delle supernove.
Ora un gruppo di scienziati giapponesi ha scoperto che una traccia di queste esplosioni stellari è stata catturata anche qui sulla Terra, tra i ghiacci antartici: nasce, in un certo senso, una sorta di archeologia stellare basata, un po' come l'archeologia terrestre, non già sui dati che ci vengono dall'osservazione dei cieli ma dai carotaggi fatti sul nostro pianeta.
Yuko Motizuki del RIKEN Nishina Center for Accelerator-base Science a Walo ha analizzato il nucleo di un ghiacciaio antartico e identificato dei picchi nella concentrazione degli ioni NO3- corrispondenti alla supernova dell'XI secolo.
Quando gli intensi raggi gamma generati dalla supernova nella nostra galassia interagiscono con l'atmosfera terrestre, causano un aumento nella produzione degli ioni di nitrato nella stratosfera. Grazie alla circolazione atmosferica, alcuni di questi ioni sono stati catturati dai ghiacci antartici.
E' noto che i nuclei dei ghiacciai sono una ricca fonte di informazioni sul clima delle ere passate, ma tali informazioni non sono state mai utilizzate per ricavare dati sui fenomeni astronomici, almeno fino ad ora.
Motizuki e colleghi sanno che l'ossido d'azoto trasportato attraverso la troposfera fino alle basse latitudini, tende a precipitare sulle zone costiere. Quindi, per evitare una distorsione nella distribuzione dei dati, i ricercatori hanno studiato una porzione di nucleo dei ghiacciai antartici estratta nel 2001 sulla cima Fuji, la seconda cima più alta tra i ghiacciai antartici.
Un'altra possibile sorgente di distorsione sono i protoni ad alta energia, generati dai così detti eventi protonici solari (SPEs). Per mitigare anche quest'effetto, i ricercatori hanno calcolato la periodicità di questi eventi prima di scegliere quale periodo analizzare. Fortunatamente, il periodo corrispondente alle supernove dell'XI secolo è coinciso con un periodo di particolare calma degli SPEs.
Un'ultima misura conclusiva ha confermato che i picchi non erano accompagnati da alcun eventuale cambiamento nel rapporto tra acqua e acqua pesante (deuterio), che potrebbe indicare cambiamenti climatici violenti.
La relazione tra profondità del ghiacciaio e l'era geologica è stata determinata utilizzando l'attività vulcanica del passato come marcatore temporale assoluto. La sezione di nucleo di ghiaccio sotto osservazione, che copriva un arco di 200 anni, è stata schiacciata tra due reticoli con un'alta concentrazione di zolfo: una situazione corrispondente a eruzioni vulcaniche note, come quella di El Chichon in Messico del 1260.
I ricercatori, oltre ai picchi, hanno trovato anche una modulazione nell'andamento del fondo di ossido d'azoto in un periodo di 10 anni: secondo i ricercatori, ciò dovrebbe essere dovuto al ciclo solare. D'altra parte i modelli teorici riportano una variazione nel ciclo solare di 11 anni.
La nostra attuale comprensione dei cicli solari è completamente guidata dalle osservazioni. Questa ricerca ricerca aumenta in maniera significativa la nostra comprensione dei cicli portandoci nel remoto passato quando non è possibile controllare altri indicatori solari
dice Mausumi Dikpati, ricercatore del National Center for Atmospheric Research in Colorado.
La cosa interessante, comunque, come ha osservato Ian Small della Durham University in Gran Bretagna (e non possono non essere d'accordo) è che tale approccio cosmologico è assolutamente ortogonale alle classiche osservazioni astronomiche. E soprattutto potrebbe fornirci la chiave per stabilire quanto gli eventi esterni alla Terra influiscono sul nostro clima, aggiungerei.
(da Supernovae recorded in the Antarctic ice; vedi anche: An Antarctic ice core recording both supernovae and solar cycles)

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