Il testo, che, per ammissione dello stesso autore sul suo sito, prende ispirazione da A brief history of time (il famoso Dal Big Bang ai buchi neri), prende spunto dalla vita di Hawking per proporre il tema di Dio e della creazione nel XX secolo e la sfida tra questi e in particolare tra la religione e la scienza. In un certo senso questo mescolamento di situazioni e posizioni, questo tentativo di far ammettere a Hawking non solo l'esistenza di Dio, ma anche la sua necessità, può essere condensato in questo ricordo infantile dello scienziato, tratto dalla sua biografia sulla wiki:
Una delle cose di cui parlavamo era l'origine dell'universo e se ci fosse stato bisogno di un Dio per crearlo e per metterlo in movimento. Avevo sentito dire che la luce proveniente da galassie lontane è spostata verso l'estremo rosso dello spettro e che questo fatto dovesse indicare che l'universo è in espansione (uno spostamento verso l'azzurro significherebbe che esso è in contrazione). Ero sicuro che dovesse esserci qualche altra ragione per lo spostamento verso il rosso. Forse nel suo viaggio verso di noi la luce si affaticava, e quindi si spostava verso il rosso. Sembrava molto più naturale un universo essenzialmente immutabile ed eterno.Uno dei punti di forza del testo è sicuramente la chiarezza scientifica (a parte forse la questione del gatto, ma quella immagino non sia volutamente chiara per dare meglio l'idea del paradosso): oltre alle idee di Hawking, sicuramente le più difficili da sintetizzare e trasmettere al pubblico, gli altri spunti di fisica presenti nel testo (Newton, Einstein) vengono spiegati con coraggio e fusi nelle discussioni che si presentano di volta in volta sul palco.
E ora che siamo in ballo, perché non parlare di una delle scoperte più importanti di Hawking, fatta tra l'altro insieme con Jacob Bekenstein?
Nota come radiazione di Hawking o radiazione di Bekenstein-Hawking, può essere sintetizzata in questo modo estremamente pittorico: i buchi neri non sono poi così neri come li si dipinge.
E' noto che il buco nero è un oggetto celeste in grado di deformare lo spaziotempo così tanto da impedire persino alla luce di sfuggire alla sua attrazione gravitazionale, almeno se entra nel suo raggio di azione, delimitato dal così detto orizzonte degli eventi. Eppure anche un buco nero emette qualcosa e per spiegare questo qualcosa c'è bisogno delle leggi della meccanica quantistica e della termodinamica. Senza scendere nei dettagli matematici cerchiamo di comprendere il meccanismo:
Una delle scoperte più incredibili che ha spiegato molti degli effetti rilevati nei laboratori, è quella delle particelle virtuali (lo schema a lato ne spiega splendidamente l'essenza). Esse sono una coppia particella-antiparticella tali per cui energia e numeri quantici siano in totale nulli, create e annichilite una con l'altra per un tempo estremamente breve. Il vuoto cosmico è generalmente un ribollire di queste particelle virtuali, che si possono osservare quando le particelle di materia reale entrano in contatto con una delle particelle della coppia. In particolare le particelle virtuali create sull'orizzonte degli eventi potrebbero diventare reali, nel senso che una delle particelle della coppia potrebbe venire creata dal lato sbagliato dell'orizzione e così cadere irrimediabilmente verso il centro del buco nero. Questo, come effetto, ha l'apparente emissione di energia sottoforma di radiazione e una conseguente perdita di massa del buco nero, visto che la particella cattuarata dal buco nero presenta, per il principio di conservazione, un'energia negativa.
Nella speranza che questa spiegazione non sia stata né troppo oscura né troppo semplicistica, ritorniamo alla nostra rappresentazione teatrale il cui gran finale è fornito dall'immaginario, virtuale oserei dire, confronto diretto tra Hawking e Dio, che si conclude con una sorta di salomonico pareggio, con Dio ancora leggermente perplesso per non essere riuscito a risolvere l'antico dilemma del gatto (sempre lui!), dilemma già noto ai tempi di Schakespeare e del suo famoso essere o non essere, ma questa, come ricorda lo stesso Hawdon nel testo, è un'altra storia.
La rappresentazione, avvenuta un mesetto fa (e mi scuso con i lettori per aver fatto passare così tanto tempo: ciò ha anche influenzato negativamente la qualità di questa sorta di recensione) presso il Franco Parenti di Milano, ha visto giocare sul palco Sabrina Colle l'infermiera, Pietro Micci nel ruolo dello scienziato, Vittorio Viviani, Dio, Annagaia Marchioro, Jane, tutti muniti della sceneggiatura, che però è stata molto ben interpretata da ognuno degli attori. In particolare Dio ha rappresentato la fase di interazione con il pubblico, non eccessiva ma comunque sufficiente per sentirsi un po' parte dello spettacolo, nel complesso divertente e interessante. Uno spettacolo proposto in visione gratuita che evidentemente non ha meritato la stessa fiducia dell'Universo molto probabilmente, che invece, con pochi punti a favore, sta chiudendo la stagione teatrale milanese, pur se in un teatro differente: il teatro scientifico, quello ben fatto, se lo possono permettere veramente in pochi.
Dal web: grazie a Mathematical fiction arrivo alla recensione sull'Oxford Mail. Altra recensione trovata è quella di Ruth Alexander. Infine vi propongo la lezione pubblica fatta da Hawking in conclusione della sua visita in Israele e Palestina.
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