La storia è abbastanza semplice e nota ormai da tempo a tutti i frequentatori del Carnevale della Matematica: Ipazia, matematica e astronoma, visse tra la fine del 300 e gli inizi del 400 nella città portuale di Alessandria, dove insegnava nella locale università. Probabilmente a causa della sua posizione di insegnante e delle sue idee scientifiche, politiche e religiose, venne uccisa dai primi cristiani d'oriente, ritenuta soprattutto dai capi religiosi della cristianità alessandrina personaggio pericoloso ed eccessivamente influente sul prefetto Oreste. La morte avvenne per lapidazione (informazioni, secondo la wiki, tratte dallo storico Socrate Scolastico, che in ogni caso riteneva le accuse a Ipazia come calunnie causate dall'invidia).
La vita romanzata di Ipazia secondo Amenabar si intreccia, poi, sia con Oreste, sia con Sinesio, vescovo d'occidente (non è un caso la sua veste bianca), sia con il suo giovane schiavo Davo, poi liberato dalla stessa Ipazia subito dopo la presa della Biblioteca da parte dei futuri ortodossi. A questi non dimentichiamo di aggiungere l'intransigente vescovo di Alessandria, Cirillo, poi divenuto santo della chiesa. Andiamo, però, con ordine, prima di creare confusione.
Lo scisma tra chiesa d'oriente (ortodossi) e chiesa d'occidente (cattolici) risale ufficialmente al 1054(1), ma fonda le sue radici nei secoli precedenti e uno dei protagonisti è evidentemente proprio Cirillo: non credo, infatti, che sia un caso l'utilizzo di vesti scure per il vescovo di Alessandria e per la sua ronda, i parabolani, rappresentati come assassini e persecutori di ebrei (con cui formarono una prima, labile alleanza), pagani e cristiani eretici. E non è certo un caso che Sinesio, vestito di bianco, cerchi di utilizzare la diplomazia e il buon senso per salvare Ipazia. Quest'ultima, invece, comprendendo che ormai tutto è perduto, nel suo ultimo giorno di vita, decide di andare per la città di Alessandria a piedi, mentre sempre secondo Scolastico ella viaggiava sul suo carro: evidente l'intento di Amenabar di aumentare la tensione drammatica e di rappresentare eroicamente l'ultimo gesto della matematica. Il panico finale e il conforto tra le braccia di Davo, che pietosamente la soffocherà per non farla soffrire durante l'inevitabile lapidazione, sembrano un modo di riconciliare la cristianità moderna con la morte, il sangue e l'orrore che attraversò quella parte della storia umana.
In effetti il film può essere letto come una denuncia contro la violenza e l'intolleranza, contro l'ignoranza e la vendetta. La sensazione, infatti, è quella di trovarsi immersi in una faida senza fine, dove quello che di buono stanno cercando di costruire i cristiani all'inizio del film, quello che convincerà Davo a unirsi alla loro causa (e che poi ne genererà le domande sull'onestà della loro battaglia), viene dimenticato, seppellito dai corpi dei morti e dal sangue versato nell'agorà di Alessandria.
Dal punto di vista filosofico, da buona neo-platonica, Ipazia viene rappresentata come più cristiana dei cristiani stessi (a rafforzare la sensazione le parole che le rivolge il suo ex-allievo Sinesio). Dal punto di vista scientifico e umano, siamo di fronte a una donna testarda, una mente brillante, che affronta con caparbietà i problemi scientifici che le si pongono di fronte. Quello più importante riguarda l'approfondimento del sistema tolemaico, che prevede la Terra al centro e il resto dei corpi celesti più vicini, le stelle erranti, ruotare intorno ad essa. Per spiegare le osservazioni celesti, oltre al moto di rotazione dei pianeti intorno alla Terra, va aggiunto anche un epiciclo, un moto di rotazione intorno a un centro, che a sua volta si muove intorno alla Terra.
L'ossessione di Ipazia e la sua mente brillante alla fine saranno la chiave della sua rovina: emblematiche, in questo senso, due scene particolari del film. La prima quando, nello studio ricostruito nella casa paterna, confrontandosi con Oreste, a un certo punto si immergerà nuovamente nelle sue ipotesi, catturata dal problema della rotazione terrestre intorno al Sole mente il suo spasimante cercava di farle comprendere la gravità della situazione politica e religiosa di Alessandria. E' la rappresentazione della tipica chiusura della ricerca nella sua torre d'avorio, un modo di pensare esclusivamente alla propria ricerca piuttosto che alla società che la circonda. A sua discolpa la situazione politica della città che l'ha costretta, dall'essere insegnante pubblica a rinchiudersi nella sua stessa casa.
La seconda scena, invece, è in chiusura del dialogo tra Ipazia, Oreste e Sinesio. Quando la donna non accetta di convertirsi al cristianesimo, e quindi di non abiurare come fece 1200 anni dopo Galileo, Oreste cerca di convincerla con un ultimo appello al suo cuore: in questo caso, però, Ipazia, quasi svegliandosi all'ultimo momento, dice:
Cirillo ha già vintoo qualcosa del genere.
E' come rendersi conto di una situazione nota, ma lasciata da parte per cose più importanti, e il suo andare per le strade senza scorta, scelta che dal punto di vista narrativo sarà fondamentalmente controproducente, rafforza la frase di Ipazia e la sua presa di coscienza. E sempre restando su questa battuta, infine, sembra sollevare il peso della storia dalle spalle di Oreste e Ipazia: se durante la discussione tre insieme con Sinesio si ha la sensazione che l'inevitabilità dello scisma tra cattolici e ortodossi sia da ascrivere alle scelte che verranno fatte in quella stanza, proprio la constatazione della matematica ne alleggerisce quel peso e la loro importanza negli ingranaggi della storia, inevitabilmente indirizzati verso quella direzione.
E torniamo, ora, all'ossessione sull'eliocentrismo, un'ossessione che ruota intorno alle idee di Aristarco di Samo, personaggio mitico quasi quanto Ipazia nel panorama dell'astronomia classica, avendo egli lasciato un unico frammento in cui valuta la distanza e le dimensioni del Sole, nonché della Luna (a tal proposito, vedi anche MATEpristem). Secondo Aristarco era la Terra a ruotare intorno al Sole e non viceversa, idea che venne successivamente riscoperta dai baldi Copernico e Keplero, mentre Ipazia, con la sua ricerca della forma geometrica più corretta per descrivere il moto dei pianeti, sottolinea come gli studiosi dell'epoca conoscevano le basi del metodo scientifico successivamente codificato da Galileo e Bacon, secondo cui nulla era da considerarsi scontato e tutto necessitava di opportuni approfondimenti, proprio come il modello tolemaico, alla ricerca di una visione più semplice di quella precedente.
(1) In effetti c'erà già stato un altro scisma, temporalmente contemporaneo con le vicende narrate in Agorà.
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