La matematica, rettamente concepita, non possiede soltanto la verità, ma la suprema beltà, beltà fredda e austera, come quella della scultura, senza ricorsi alle debolezze della nostra natura, senza i fastosi ornamenti della pittura o della musica, ma d'una purezza sublime e capace d'una severa perfezione, quale soltanto l'arte più elevata può raggiungereNon è un caso che Bertrand Russell, logico e matematico, parli di bellezza in matematica, visto il suo interesse verso il paradosso dei barbieri di Lewis Carroll, un altro grande divulgatore e studioso della disciplina, che ha fatto della bellezza della matematica e soprattutto del suo lato giocoso un punto caratteristico di tutta la sua carriera. Ciò che, però, unisce più strettamente i due personaggi, è sicuramente l'interesse per la logica.
(Bertrand Russell, citazione dal Carnevale della Matematica #25)
Russell, nato il 18 maggio 1872, divenne ben presto orfano di madre e padre, crescendo così con i nonni, in un ambiente strettamente puritano: in questa situazione la passione per la matematica divenne l'unica fonte di sollievo per il giovane Bertrand. Si sposò nel 1894 con Alys Pearsall Smith, di pochi anni più giovane di lui, ma si separarono nel 1911, dopo un matrimonio fitto di tradimenti da parte del matematico nei confronti della moglie. Questo in un certo senso fu solo l'inizio in una complessa vita matrimoniale, costellata da 4 mogli, mentre dal punto di vista accademico si laureò a Cambridge, dove si iscrisse nel 1890 per studiare logica e filosofia, e nel 1908 divenne assistente di John Ellis McTaggart al Trinity College. Dopo una serie di viaggi (Russia, Cina, con in mezzo la prima guerra mondiale), e un periodo passato a Oxford, si trasferì negli Stati Uniti nel 1939 presso l'UCLA, per poi tornare al Trinity nel 1944.
Morì il 2 febbraio del 1970, dopo aver scritto opere fondamentali per la logica e la matematica, come The Principles of Mathematics del 1903 e soprattutto i Principia Mathematica, opera in tre volumi di cui il primo vide la luce nel 1910, un secolo fa: l'opera, conclusa nel 1913, è stata redatta a quattro mani insieme con Alfred North Whitehead.
Nel 1950, quindi 60 anni fa, gli venne conferito il Premio Nobel per la letteratura, principalmente per la sua opera di divulgazione filosofica e le sue battaglie pacifiste e anti-nucleari:
in recognition of his varied and significant writings in which he champions humanitarian ideals and freedom of thought.L'interesse di Russell verso il paradosso di Carroll non è affatto casuale, basti infatti pensare al famosissimo paradosso di Russell:
Alcuni insiemi, come quello di tutte le tazze da tè, non sono membri di se stessi. Detto R l'insieme di tutti gli insiemi che non sono membri di se stessi, se R è un membro di se stesso, allora per definizione non deve essere un membro di se stesso. Allo stesso modo, se R non è un membro di se stesso, allora, per definizione, deve essere un membro di se stesso.
Questo paradosso venne scoperto da Russell nel 1901, mentre stava lavorando ai Principles, anche se non fu il primo di questo genere.
Nel 1897, infatti Cesare Burali-Forti, assistente di Giuseppe Peano, aveva notato che, poiché l'iniseme degli ordinali è ben ordinato, esso stesso deve avere un ordinale. D'altra parte questo ordinale, chiamiamolo \(\Omega\), è sia un elemento dell'insieme di tutti gli ordinali, sia il suo più grande elemento. Però, in quanto ordinale, deve esistere \(\Omega + 1\), da cui discende la seguente disequazione, che è anche una contraddizione: \[\Omega < \Omega + 1 \leq \Omega\] Si nota, quindi, la differenza tra i due paradossi: mentre quello dell'italiano coinvolge il concetto di ordinale (e quindi i numeri), quello di Russell coinvolge la teoria insiemistica, cui diede un importante contributo.
Un altro logico e matematico che giunse a un risultato simile in maniera indipendente da Russell fu Ernst Zermelo, che poi contribuì alla caccia della dimostrazione del problema del continuo di Cantor .
Il paradosso uscì dagli appunti di Russell per la prima volta in uno scambio epistolare con Gottlob Frege:
C'è giusto un punto dove ho incontrato difficoltà. Sostieni che una funzione di troppo può agire come un elemento indeterminato. Questo è quello che credevo in precedenza, ma ora questo punto di vista mi sembra dubbio a causa della seguente contraddizione. Sia w un predicato: è un predicato che non può essere predicato di se stesso. Può w essere predicato di se stesso? Da ogni risposta segue il suo opposto. Quindi dobbiamo concludere che w non è un predicato. Allo stesso modo non esiste una classe (intesa come totalità) di classi che, prese ciascuna come totalità, non appartiene a se stessa. Da ciò concludo che sotto certe circostanze una collezione definibile non forma una totalità.(1)Nella discussione sul paradosso sende in campo anche Ludwig Wittgenstein, allievo e amico di Russell:
La ragione per cui una funzione non può essere essa stessa un proprio argomento è che il segno per una funzione contiene già il prototipo del suo argomento, e non può contenere se stesso. Supponiamo che la funzione \(F(f(x))\) possa essere il suo argomento: in quel caso esisterebbe una proposizione \('F(F(f(x)))'\), nella quale la funzione F più esterna e la funzione Fpiù interna devono avere significati pifferenti, poiché quella più interna ha la forma \(O(f(x))\) e quella più esterna la forma \(Y(O(f(x)))\). Solo la lettera 'F' è in comune alle due funzioni, ma la lettera in se non significa nulla. Questo diventa immediatamente chiaro se invece di \('F(Fu)'\) scriviamo \('\text{(do):} F(Ou).Ou = Fu'\). Questo disfa il paradosso di Russell.(2)Una versione semplificata (o esemplificativa!) del paradosso è stata proposta dallo stesso Russell, nel più famoso paradosso del barbiere:
(dal Tractatus Logico-Philosophicus)
Supponiamo che in una città ci sia un unico barbiere, allora ogni uomo di quella città potrà essere diviso in due categorie: quelli che si radono da soli, quelli che si fanno radere dal barbiere. Il barbiere, quindi, non potrà fare altro che essere descritto come colui che fa la barba solo a quegli uomini che non si radono da sè.
A questo punto possiamo chiederci: il barbiere si rade da sè?
Vediamo un po':
- Se il barbiere non si rade da solo, deve rispettare la regola e radersi;
- Se il barbiere si rade sa solo, in accordo con la regola, non potrà radersi.
Quella contraddizione è estremamente interessante. Puoi modificarne la forma; alcune forme di modificazione sono valide e altre no. Una volta mi è stata suggerita una forma che non era valida, la questione se il barbiere si rade o meno. Puoi definire il barbiere come "uno che rade quelli e solo quelli che non si radono da sè". La domanda è: il barbiere si rade da solo? In questa forma la contraddizione non è molto difficile da risolvere. Ma nella nostra forma precedente penso che sia chiaro che non puoi solo girarci intorno osservando che tutta la questione è se una classe è o non è un membro di se stessa, cioé che nessuna classe è o non è un membro di se stessa, e ciò non è neppure vero, poiché l'intera forma delle parole è giusto rumore senza significato.(3)A questo punto mi sembra giusto chiudere in maniera paradossale con questa citazione, nota come la teiera di Russell:
(da The Philosophy of Logical Atomism)
Se io sostenessi che tra la Terra e Marte c'è una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un'orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi, purché mi assicuri di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata, sia pure dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che - posto che la mia asserzione non può essere confutata - dubitarne sarebbe un'intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe con tutta ragione che sto dicendo fesserie. Se, invece, l'esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità ed instillata nelle menti dei bambini a scuola, l'esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all'attenzione dello psichiatra in un'età illuminata o dell'Inquisitore in un tempo antecedente.Altre biografie: sulla Stanford Encyclopedia of Philosophy, su MacTutor.
Sul Project Gutenberg sono disponibili le seguenti sue opere: The Analysis of Mind, Mysticism and Logic and Other Essays, Political Ideals, The Practice and Theory of Bolshevism, The Problem of China, The Problems of Philosophy, Proposed Roads to Freedom.
Altre opere: Principia Mathematica, The Principles of Mathematics
Altri siti su Bertrand Russell: The Bertrand Russell Society, The Bertrand Russell Gallery, biografia Nobel, Bertrand Russell Corporation (sito italiano).
Vi ricordo che dal 21 al 24 maggio si terrà, presso il Bertrand Russell Research Centre in Ontario, la conferenza PM@100 dedicata al centenario della pubblicazione del primo volume dei Principia.
(1) There is just one point where I have encountered a difficulty. You state that a function too, can act as the indeterminate element. This I formerly believed, but now this view seems doubtful to me because of the following contradiction. Let w be the predicate: to be a predicate that cannot be predicated of itself. Can w be predicated of itself? From each answer its opposite flows. Therefore we must conclude that w is not a predicate. Likewise there is no class (as a totality) of those classes which, each taken as a totality, do not belong to themselves. From this I conclude that under certain circumstances a definable collection does not form a totality.(2) The reason why a function cannot be its own argument is that the sign for a function already contains the prototype of its argument, and it cannot contain itself. For let us suppose that the function \(F(f(x))\) could be its own argument: in that case there would be a proposition \('F(F(f(x)))'\), in which the outer function F and the inner function F must have different meanings, since the inner one has the form \(O(f(x))\) and the outer one has the form \(Y(O(f(x)))\). Only the letter 'F' is common to the two functions, but the letter by itself signifies nothing. This immediately becomes clear if instead of \('F(Fu)'\) we write \('\text{(do):} F(Ou).Ou = Fu'\). That disposes of Russell's paradox.
(3) That contradiction is extremely interesting. You can modify its form; some forms of modification are valid and some are not. I once had a form suggested to me which was not valid, namely the question whether the barber shaves himself or not. You can define the barber as "one who shaves all those, and those only, who do not shave themselves." The question is, does the barber shave himself? In this form the contradiction is not very difficult to solve. But in our previous form I think it is clear that you can only get around it by observing that the whole question whether a class is or is not a member of itself is nonsense, i.e. that no class either is or is not a member of itself, and that it is not even true to say that, because the whole form of words is just noise without meaning.
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