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venerdì 30 luglio 2010

Vedere e rivedere


Titolo: Vedere e rivedere. Viaggio di un neuroscienziato nella visione 3D
Autore: Susan Barry
Edizione: La biblioteca de Le Scienze
L'immagine che mi è rimasta maggiormente impressa alla chiusura di Vedere e rivedere di Susan Barry è quando la ricercatrice e autrice del libro ha fatto smettere di piangere un bambino semplicemente facendogli cambiare punto di visione del mondo. La scena è semplice: Susan si avvicina a una donna il cui figlio sta piangendo a dirotto. La donna, non riuscendo a interpretare il pianto del figlio, non sa cosa fare, quando la dottoressa Barry arriva e chiede di prendere il bambino. Ricevuto il consenso della donna, la ricercatrice solleva il piccolo in aria, facendogli cambiare così prospettiva da cui vedere il mondo: il bambino smette incredibilmente di piangere.
Questo dimostra, dal mio punto di vista, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il cervello dei bambini è già attivo e desideroso di sempre nuovi stimoli sin dalla primissima età. La vicenda personale di Susan Barry, una delle tante che racconta, invece è la dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il cervello, anche in età avanzata, è abbastanza flessibile e bisognoso di nuovi stimoli, tanto da essere in grado di imparare e adattarsi a nuove condizioni.
Susan Barry, ricercatrice in campo oculistico, moglie dell'astronauta Dan Barry, collega e poi amica di Oliver Sachs (che scrive l'introduzione), è anche strabica sin dalla più tenera età. Il suo strabismo venne apparentemente curato grazie ad un'operazione chirurgica, però il suo fu uno dei casi in cui l'intervento da solo non è stato necessario per risolvere il problema. In realtà per Susan e migliaia di altri strabici nel mondo, la loro condizione oculare non è di principio un problema insormontabile, mentre per il cervello diventa un semplice problema di adattamento nel funzionamento degli occhi per sopperire alla mancanza della visione stereoscopica, quella che molto spesso diamo per scontata.
Oggi Susan ha riacquistato la visione stereoscopica grazie ad un'attenta terapia oculare fatta non di medicine o ulteriori interventi chirurgici, ma con degli esercizi opportunamente studiati per far recuperare una visione in realtà nota al cervello, ma che a causa dello strabismo infantile non era stata mai utilizzata. Tutto questo grazie a una optometrista di fiducia, una tipologia di esperto degli occhi, non completamente riconosciuta dalla comunità medica. A differenza degli omeopati, però, gli optometristi non vendono fumo o placebo, ma propongono una terapia che, in ogni caso, implica un utilizzo del cervello e degli occhi, e quindi degli esercizi in ogni caso più faticosi del bere acqua leggermente impura.
Le tecniche optometriche per la correzione della vista, in particolare per la correzione dello strabismo, nascono grazie al lavoro dell'optometrista svizzero Frederick Brock, nato nel 1899. Brock, descritto dalla Barry come uomo simpatico e ricco di inventiva (a supporto propone un paio di aneddoti curiosi in tal senso), che sviluppò una serie di esperimenti scientificamente rigorosi per accertare ciò che vedevano i suoi pazienti (nel libro è anche presente una ricca bibliografia a dimostrazione di questa affermazione). Di tutto il lavoro di Brock, che potrete leggere su Vedere e rivedere, mi soffermo rapidamente solo sulla famosa corda di Brock (The string as an aid to visual training), semplicemente una corda infilata in una pallina, che scorre lungo tale vincolo.
Il funzionamento dell'esperimento è semplice: si tende questa corda tra un punto fissato ad esempio al muro (un attaccapanni o la maniglia di una porta, chiusa possibilmente) e si fa scorrere la pallina a partire da pochi centimetri vicino al naso. Durante questo movimento di allontanamento dal naso, ad un certo punto potrebbe capitare di vedere quattro corde, due in uscira dalla biglia verso il naso e due dalla biglia verso il muro. Il motivo è legato all'area di Panum, un'area intorno al punto che normalmente viene utilizzato dal cervello per fondere le immagini dei due occhi e ottenere un'unica visione. Susan Barry era in grado di fondere anche le immagini presenti in questa area, riuscendo così a vedere ben quattro corde.
I successi di Brock e l'interesse verso il suo lavoro sono giustificati, comunque, non solo dal rigore tenuto dall'optometrista, ma soprattutto dal fatto che comprendeva appieno lo stato dei suoi pazienti, essendo egli stesso strabico.
Immancabile, poi, un capitolo dedicato all'arte, alla prospettiva e alle illusioni, con l'immancabile citazione a Cornelius Escher e quella al padre della scrittrice, il pittore Malcolm Feinstein.
Altro passaggio importante è la discussione sull'incidenza della visione sul comportamento: succede a volte che disturbi della vista vengano confusi con disturbi dell'attenzione e del comportamento. Questo fatto era diffuso soprattutto durante gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo (se non ricordo male), quando si faceva anche un ampio uso di medicinali per curare questi disturbi. Oltre all'erronea terapia già semplicemente riguardo la malattia diagnosticata, in alcuni casi si aggiungeva anche una erronea identificazione del disturbo del bambino, quando semplicemente un recupero anche parziale di una corretta visione (che come ripete Susan Barry in tutto il libro non coincide con una vista da 10/10) avrebbe risolto i problemi comportamentali del bambino.
La visione, dunque, ha un'incidenza importante sulla nostra vita, tanto che molte persone divenute cieche a causa di incidenti, ancora presentano le aree della visione attivabili sotto determinati stimoli, e il libro della Barry è una cavalcata interessante in una linea di ricerca che si potrebbe dire di frontiera, che però sta ottenendo dei buoni risultati grazie alle terapie mirate e spesso adattate ai singoli casi. Ennesima dimostrazione che la scienza è l'unico modo serio per mantenere aperta la mente, molto più che perdere tempo dietro esoterismi, fantasie e ufi vari.

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