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domenica 23 maggio 2010

Dio e Stephen Hawking

Giovedì 27 maggio, alle 18, ingresso libero fino ad esaurimento posti, presso il Teatro Franco Parenti a Milano, lettura del testo Dio e Stephen Hawking di Robin Hawdon, con Sabrina Colle, Pietro Micci, Vittorio Viviani, Annagaia Marchioro:
Dio decide di incontrare Stephen Hawking per discutere sulla formazione dell'universo. In quanto onnisciente, in ogni luogo e in ogni dove, escogita di interpretare tutti i personaggi che avranno a che fare con la vita dello scienziato.
Con Dio e Stephen Hawking siamo all'eterno, attuale, indispensabile dibattito tra scienza e fede.
E più in generale al rapporto tra laicità e religioni.
Un dibattito di cogente attualità che riguarda sia misere contingenze (pacs, eutanasia, fecondazione assistita, teo-con, laici devoti), sia problematiche filosofiche.
Soprattutto, però, riguardale vere o presunte guerre di civiltà, gli ormai cronici conflitti mondiali, le grandi trasformazioni in atto nel nostro mondo. E anche la qualità e la sopravvivenza della democrazia.
Robin Hawdon, conosciuto autore inglese, tratta questa storia in forma di commedia ma scrive con estrema perizia e conoscenza le varie argomentazioni scientifiche. Spettacolo e divulgazione. Intelligenza e divertimento. In una parola, Teatro.
Con la messinscena di Dio e Stephen Hawking abbiamo l'ambizione di voler portare anche noi, operatori teatrali, uno stimolo e un contributo per poterci confrontare, incontrare e coinvolgere con personalità del mondo cultural-scientifico; nei luoghi dove si svolgono le discussioni e si sviluppano idee e cultura attorno a questi temi fondamentali.
Siamo convinti che in un'era di comunicazione iperveloce, di mass-media ansiotecnologici, di sogni che oramai sono fatti della stessa materia dei reality, il teatro sia il ragionevole recupero della dimensione del tempo. Dell'approfondimento della materia. Dello sviluppo mentale e vitale dell'umana energia. L'universo dove si può e si deve accrescere l'autonomia di pensiero e la capascità critica.

sabato 15 maggio 2010

La rifrazione dell'aragosta

Sul primo numero del Canemucco di Makkox, La vasca, nella seconda scena ambientata in una pescheria, si svolge il seguente dialogo:
Settimino: Eccola qui, la più piccoletta m'è scappata, va bene lo stesso questa però, che ne dite Don Mimì? Non è tanto grossa, quella è l'acqua che la fa sembrare chissaché.
Mimì: Hmff... Tu dici che a me sembra così grossa per via della rifrazione?
Settimino: ...
(eccezionale la sua espressione tra lo stupore e la perplessità: sai che sta per tirare fuori una battuta pippesca)
Settimino: 'on Mimì, ma figuratevi se io volevo significare che voi tenete 'sta cosa... 'sta rinfranzione che vi fa vedere le cose storte! Maperlamoriddio!
Tengo mio figlio un poco astigmatico e figuratevi se scherzo su 'ste disgrazie. Io volevo dire che le aragoste nella vasca sembrano...
Mimì: Tranquillo Settimì, HeHe... ho capito. La rifrazione è quel fenomeno per cui.. Vabbuò: tira fuori 'sta creaturella, fammela vedere.
Ovviamente qui non facciamo vabbuò, ma anzi cercheremo di spiegare un po' cosa è la rifrazione.
Si sa che la luce, attraversando un mezzo, viaggia ad una velocità massima inferiore rispetto al vuoto e che per ogni mezzo che attraversa sperimenta una velocità differente. Quindi quando la luce viaggiando passa da un mezzo a un altro (dall'aria all'acqua, ad esempio), il raggio luminoso subisce una deviazione nel suo percorso. La legge che regola gli angoli di incidenza sulla superficie di separazione è detta legge di Snell

lunedì 3 maggio 2010

Agorà


Il poster del film
L'agorà era il centro della polis, la piazza principale, il punto nevralgico per i commerci (vi si svolgeva il mercato), la religione (vi si affacciavano tutti i templi più importanti), la politica (è lì che si svolgevano le assemblee cittadine). Assume quindi una valenza importante all'interno dell'economia della storia il titolo del film di Aleyandro Amenabar, Agorà. In effetti la storia descritta dal regista spagnolo ruota attorno a due personaggi: la matematica Ipazia, la cui storia viene narrata negli anni turbolenti che ne hanno preceduto la morte, e l'agorà della città di Alessandria, quella della mitica biblioteca protagonista anche di una storia disneyana di Don Rosa, I guardiani della biblioteca perduta.
La storia è abbastanza semplice e nota ormai da tempo a tutti i frequentatori del Carnevale della Matematica: Ipazia, matematica e astronoma, visse tra la fine del 300 e gli inizi del 400 nella città portuale di Alessandria, dove insegnava nella locale università. Probabilmente a causa della sua posizione di insegnante e delle sue idee scientifiche, politiche e religiose, venne uccisa dai primi cristiani d'oriente, ritenuta soprattutto dai capi religiosi della cristianità alessandrina personaggio pericoloso ed eccessivamente influente sul prefetto Oreste. La morte avvenne per lapidazione (informazioni, secondo la wiki, tratte dallo storico Socrate Scolastico, che in ogni caso riteneva le accuse a Ipazia come calunnie causate dall'invidia).

Cirillo
La vita romanzata di Ipazia secondo Amenabar si intreccia, poi, sia con Oreste, sia con Sinesio, vescovo d'occidente (non è un caso la sua veste bianca), sia con il suo giovane schiavo Davo, poi liberato dalla stessa Ipazia subito dopo la presa della Biblioteca da parte dei futuri ortodossi. A questi non dimentichiamo di aggiungere l'intransigente vescovo di Alessandria, Cirillo, poi divenuto santo della chiesa. Andiamo, però, con ordine, prima di creare confusione.
Lo scisma tra chiesa d'oriente (ortodossi) e chiesa d'occidente (cattolici) risale ufficialmente al 1054(1), ma fonda le sue radici nei secoli precedenti e uno dei protagonisti è evidentemente proprio Cirillo: non credo, infatti, che sia un caso l'utilizzo di vesti scure per il vescovo di Alessandria e per la sua ronda, i parabolani, rappresentati come assassini e persecutori di ebrei (con cui formarono una prima, labile alleanza), pagani e cristiani eretici. E non è certo un caso che Sinesio, vestito di bianco, cerchi di utilizzare la diplomazia e il buon senso per salvare Ipazia. Quest'ultima, invece, comprendendo che ormai tutto è perduto, nel suo ultimo giorno di vita, decide di andare per la città di Alessandria a piedi, mentre sempre secondo Scolastico ella viaggiava sul suo carro: evidente l'intento di Amenabar di aumentare la tensione drammatica e di rappresentare eroicamente l'ultimo gesto della matematica. Il panico finale e il conforto tra le braccia di Davo, che pietosamente la soffocherà per non farla soffrire durante l'inevitabile lapidazione, sembrano un modo di riconciliare la cristianità moderna con la morte, il sangue e l'orrore che attraversò quella parte della storia umana.
In effetti il film può essere letto come una denuncia contro la violenza e l'intolleranza, contro l'ignoranza e la vendetta. La sensazione, infatti, è quella di trovarsi immersi in una faida senza fine, dove quello che di buono stanno cercando di costruire i cristiani all'inizio del film, quello che convincerà Davo a unirsi alla loro causa (e che poi ne genererà le domande sull'onestà della loro battaglia), viene dimenticato, seppellito dai corpi dei morti e dal sangue versato nell'agorà di Alessandria.