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sabato 31 luglio 2010

La macchina per acchiappare farfalle

topolino11-macchina-farfalle
Questa macchina perpetua a vento per acchiappare farfalle è una sorta di macchina di Goldberg, come quella per la prima colazione che abbiamo visto in azione qualche mese fa. Il disegno risale al febbraio del 1950, quando viene presentata su Topolino #11.
Questo il suo funzionamento nel testo redatto all'epoca, molto probabilmente dal tuttofare della redazione (traduttore, sceneggiatore, ...) Guido Martina:
Il vento leggero fa ruotare le palette 1, concavoconvesse, e ad ogni paletta che passa si abbassa il piatto rosso 2 che, imperniato, tira lo spago che passa nel tubo 3 e agisce sulle braccia dello spaventapasseri 4, abbassandole. Poi, per via del peso 4A, le braccia tornano in su, e poi ancora giù, e così via.
A quel movimento dello spaventapasseri 4, il passero 5 si spaventa e scappa su per la gabbia a tubo bilanciato 6-6A, si solleva la trappola 7 e si abbassa la trappola 8 sulla trappola 9 chiudendovi una farfalla che si trovasse a passare di lì.
Sempre per il movimento della gabbia 6-6A si abbassa a terra la trappola 10 chiudendo una farfalla che si trovasse a passare di lì, e la trappola 14-15.
Quando la gabbia 6-6A è al termine del suo movimento, l'estremità 6A in cui si è rifugiato ora il passero 5 urta contro lo spago 11 che suona la campana 11A, chiude poi la trappola 12 che acchiappa una farfalla che si trovasse a passare di lì, e apre la trappola 13.
Al suono improvviso della campana, il passero 5 si spaventa di nuovo e scappa a rifugiarsi dov'era prima, all'estremità sinistra della gabbia 6-6A, che riprende così la sua posizione primitiva, provocando il "ritorno" di tutta la macchina.
La trappola 10 si solleva riaprendo la trappola 14-15, il filo si libera, la trappola 13 si chiude per il peso della sua palla di ferro, acchiappando una farfalla che si trovi a passare di lì, la trappola 12 si riapre, il batacchio si scosta dal bordo della campana 11A, la trappola 8 si risolleva dalla trappola 9 e la trappola 7 si abbatte sull'erba acchiappando una farfalla che si trovi a passare di lì.
A questo punto, sempre tirando il vento leggero, la macchina riprende il movimento da capo, poiché lo spaventapasseri muove sempre le braccia e il passero 5, spaventato, riparte nella gabbia a tubo bilanciato 6-6A.
Appare così chiaro che, tirando eterno il leggero vento, la macchina eternamente si muove, acchiappando e liberando farfalle che si trovino a passare di lì.

NB. Si consiglia di oliare ogni tanto i vari perni e di nutrire abbondantemente il passero.
Se qualche coraggioso (o folle, il che è probabilmente lo stesso), vuole provare a costruire e mettere in opera questa macchina perpetua, basta che commenti con il link della foto o del video. Se poi qualche folle (o coraggioso, il che è probabilmente lo stesso), ha voglia di cimentarsi invece nella realizzazione virtuale della macchina, sia in immagine sia in animazione, augurandogli buona fortuna (ma anche al primo coraggioso, o folle fate voi), lo invito allo stesso modo a farsi vivo nei commenti.
P.S.: E' partito Fisicartoonia. Da una decina di giorni. Andare a leggerlo. Non ve ne pentirete!

venerdì 30 luglio 2010

Vedere e rivedere


Titolo: Vedere e rivedere. Viaggio di un neuroscienziato nella visione 3D
Autore: Susan Barry
Edizione: La biblioteca de Le Scienze
L'immagine che mi è rimasta maggiormente impressa alla chiusura di Vedere e rivedere di Susan Barry è quando la ricercatrice e autrice del libro ha fatto smettere di piangere un bambino semplicemente facendogli cambiare punto di visione del mondo. La scena è semplice: Susan si avvicina a una donna il cui figlio sta piangendo a dirotto. La donna, non riuscendo a interpretare il pianto del figlio, non sa cosa fare, quando la dottoressa Barry arriva e chiede di prendere il bambino. Ricevuto il consenso della donna, la ricercatrice solleva il piccolo in aria, facendogli cambiare così prospettiva da cui vedere il mondo: il bambino smette incredibilmente di piangere.
Questo dimostra, dal mio punto di vista, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il cervello dei bambini è già attivo e desideroso di sempre nuovi stimoli sin dalla primissima età. La vicenda personale di Susan Barry, una delle tante che racconta, invece è la dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il cervello, anche in età avanzata, è abbastanza flessibile e bisognoso di nuovi stimoli, tanto da essere in grado di imparare e adattarsi a nuove condizioni.
Susan Barry, ricercatrice in campo oculistico, moglie dell'astronauta Dan Barry, collega e poi amica di Oliver Sachs (che scrive l'introduzione), è anche strabica sin dalla più tenera età. Il suo strabismo venne apparentemente curato grazie ad un'operazione chirurgica, però il suo fu uno dei casi in cui l'intervento da solo non è stato necessario per risolvere il problema. In realtà per Susan e migliaia di altri strabici nel mondo, la loro condizione oculare non è di principio un problema insormontabile, mentre per il cervello diventa un semplice problema di adattamento nel funzionamento degli occhi per sopperire alla mancanza della visione stereoscopica, quella che molto spesso diamo per scontata.
Oggi Susan ha riacquistato la visione stereoscopica grazie ad un'attenta terapia oculare fatta non di medicine o ulteriori interventi chirurgici, ma con degli esercizi opportunamente studiati per far recuperare una visione in realtà nota al cervello, ma che a causa dello strabismo infantile non era stata mai utilizzata. Tutto questo grazie a una optometrista di fiducia, una tipologia di esperto degli occhi, non completamente riconosciuta dalla comunità medica. A differenza degli omeopati, però, gli optometristi non vendono fumo o placebo, ma propongono una terapia che, in ogni caso, implica un utilizzo del cervello e degli occhi, e quindi degli esercizi in ogni caso più faticosi del bere acqua leggermente impura.

domenica 25 luglio 2010

In punta di sella

Dopo una cronometro di 52 Km, vinta da Fabian Cancellara, Alberto Contador, tenendo un passo costante e riuscendo a mantenersi calmo quando, dopo i primi sette chilometri, stava perdendo terreno da Andy Schelck, alla fine è riuscito a concludere la tappa davanti all'avversario e il Tour de France 2010 sul gradino più alto del podio. Domani, così, a Parigi, all'arrivo sui Campi Elisi, saranno da assegnare l'ultimo vincitore di tappa e la maglia verde, al momento sulle spalle di Alessandro Petacchi.
Piccola nota di colore matematico durante la cronaca Rai: il giornalista della Gazzetta dello Sport (non ricordo il nome e me ne scuso) invitato a commentare le prime fasi della cronometro, dimostra le sue abilità matematiche affermando che
Contador sta guadagnando un secondo al chilometro dopo che nei primi 7 Km della crono ha ottenuto un vantaggio di 4"
Da che mondo è mondo, però, 4" in 7 Km sono poco più di mezzo secondo al chilometro (0.57, per la precisione). Capisco che il calcoli a mente non siano sempre così semplici da fare, ma in questo caso non mi sembrava poi così difficile dare una valutazione abbastanza corretta della situazione.
Detto questo ritorniamo un attimo allo sport. Al di là delle critiche al fair play per questi due atleti (personalmente il loro comportamento è stato esemplare: fossero tutti così gli atleti a fine gara), o per il troppo tatticismo, alla fine hanno semplicemente dimostrato, sulle montagne, di essere i più forti. In una parola: inarrestabili. Contador, forse, ha fatto un solo errore, non andare a vincere il Tourmalet: ne aveva le forze. In ogni caso i due atleti hanno fatto una buona cronometro, da scalatori che si giocano il Tour oserei dire: forse sono uno dei pochi a ritenere che quest'anno Contador ha fatto una preparazione incentrata sulla montagna piuttosto che sulla cronometro, dove il distacco finale, se non si è specialisti, è una questione di gambe e di concentrazione. Unico difetto, però, è quello di correre per l'Astana (ancora per poco?), squadra finanziata con il petrolio, ovvero quanto di più lontano c'è dalle biciclette.
A questo punto, in attesa dell'arrivo all'ombra della Torre, oggi si andranno ad approfondire alcuni aspetti della meccanica dei fluidi, importanti proprio per una gara contro il tempo come la penultima tappa di ieri al Tour.
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Partiamo dall'ultimo attrito che restava da esaminare, l'attrito viscoso, ovvero l'attrito che un oggetto incontra quando si muove all'interno di un fluido. Esso risulta direttamente proporzionale alla velocità dell'oggetto stesso: \vec F = -b \vec v dove b è un coefficiente che dipende dal fluido in cui l'oggetto è immerso e da come è fatto (geometria, materiale) l'oggetto stesso.
Nel prosieguo della discussione non mi soffermerò in aspetti comunque importanti come il moto di un fluido, la portata, il teorema di Bernoulli, ma su quello che succede quando un corpo si trova all'interno di un fluido. Il caso più semplice è sicuramente quello di una sfera immersa in un fluido: se il fluido è ideale, non si creano vortici e la sfera resta immobile. Questo è il così detto paradosso di d'Alembert. In generale si potrebbero avere comportamenti da fluido ideale in un fluido reale solo a velocità basse, almeno per quel che riguarda i vortici. La presenza dei vortici, comunque, modifica le pressioni lungo la superficie della sfera, che così viene trascinata dal mezzo.

venerdì 23 luglio 2010

Passo a due

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E' quello che hanno fatto Andy Schleck e Alberto Contador sull'ultima salita del Tour de France, il tanto atteso Tourmalet. La sfida, lanciata prima tra le squadre, ha poi visto i due ciclisti affrontarsi in duello, sugli ultimi 9 Km, che hanno visto un primo attacco del lussemburghese e, soprattutto, a poco meno di 4 Km dall'arrivo, uno scatto dello spagnolo che poteva essere decisivo anche per la tappa. Alla fine, accontentadosi della vittoria conclusiva a Parigi (troppa la differenza a cronometro tra i due per immaginare uno stravolgimento sabato), Contador concede i centimetri finali della vittoria sulla cima del Tourmalet all'avversario. Bellissimo, dal punto di vista sportivo e umano, l'abbraccio tra i due dopo il traguardo.
Particolarità della tappa di ieri, che da spunto per l'articolo di oggi, è stata la presenza della pioggia. L'acqua che cade e bagna l'asfalto e le strade, rende il percorso scivoloso e questo perché diminuisce il tanto poco amato attrito. Questo, infatti, è una forza non conservativa, eppure senza l'attrito ci verrebbe molto difficile camminare, figuriamoci andare in bicicletta. Fateci caso: se vi capita di andare su una lastra di ghiaccio, in quel caso si scivola proprio per la quasi completa assenza dell'attrito (non è un caso che il coefficiente d'attrito sull'asfalto bagnato è inferiore rispetto all'asfalto asciutto). E' in quel caso che si spiega lo scivolone sul ghiaccio: quel poco di attrito presente, infatti, consente al ghiaccio sotto le suole di sciogliersi e creare quindi le condizioni per la sua assenza, facendoci cadere a terra (i migliori con un doppio carpiato all'indietro).
Eppure, nonostante la piogga, i nostri due campioni si danno battaglia e Contador addirittura scatta, staccando per alcuni metri il suo avversario. Fermiamoci con questa immagine in mente, con la pedalata a metà, con la ruota ferma lungo l'asfalto bagnato. Come funziona quindi l'attrito, sul quale si era già discusso in altre occasioni (l'ultima esaminando le salite in bici), che permette ai ciclisti di andare in bici e più in generale a noi di camminare per le strade? In un certo senso l'attrito fa una sorta di passo a due con la gravità, proprio come i nostri due atleti sulla strada verso la cima conclusiva. Ma andiamo con ordine:
Quando poggiamo un oggetto sul tavolo o su una qualunque superficie, se vogliamo spostarlo, magari trascinandolo lungo il piano, la prima forza che dobbiamo vincere è la così detta forza di attrito statico: F_s = \mu_s N dove N è il modulo della componente perpendicolare della forza totale che agisce sul corpo (al massimo coincide con la forza di gravità, se spingiamo il nostro oggetto con una forza parallela al piano di appoggio), \mu_s il coefficiente di attrito statico. Non appena il corpo si sposta, l'attrito statico è sostituito dall'attrito dinamico: F_d = \mu_d N dove il coefficiente d'attrito dinamico \mu_d è più piccolo rispetto a \mu_s.
Un modo (che ho utilizzato) per misurare l'attrito statico superficie è attaccare un dinamometro a un pesetto e leggere il valore F_D della forza nell'esatto istante in cui il corpo inizia a muoversi. In quel momento, in cui siamo praticamente prossimi all'equilibrio, possiamo affermare, senza commettere grossi errori, che la forza letta sul dinamometro coincide con l'attrito statico, e mantenendo il dinamometro parallelo al piano, il coefficiente di attrito statico sarà dato da: \mu_s = \frac{F_D}{P} dove P è la forza peso del corpo che stiamo cercando di spostare.
Se l'esperimento è ben fatto, si dovrebbe ottenere una misura abbastanza accurata del coefficiente di attrito, ma in ogni caso può essere interessante per capire le difficoltà da affrontare non solo nella progettazione, ma anche nell'esecuzione di una attività sperimentale.

mercoledì 21 luglio 2010

Ologrammi da polso: placebo sportivi

La tappa di ieri al Tour, quella del così detto "giro della morte" con quattro cime pirenaiche una dietro l'altra (l'ultima, però, piuttosto lontana dal traguardo, 60 km se non erro), ha detto molto poco per quel che riguarda la classifica generale. Ci si aspettava Andy Schleck, che chiedeva vendetta per il salto di catena del giorno prima, però la grande distanza delle cime dal traguardo ha di fatto trasformato il tappone pirenaico in una sorta di trasferimento, tappa utile per una fuga da lontano, puntualmente arrivata.
Il vincitore alla fine è stato Pierrick Fedrigo, che ha battuto allo sprint conclusivo il gruppetto di attaccanti giunto sul traguardo, tra cui un Lance Armstrong ormai al tramonto e il nostro Damiano Cunego. Da rilevare l'azione coraggiosa da passista dello spagnolo Carlos Barredo, che è stato raggiunto solo a mezzo chilometro circa dal traguardo.
Nella telecronaca del pomeriggio, comunque, una noia quasi soporifera fino a che arrivano i servizi storici sulle edizioni passate, con, tra gli altri, la vittoria ridanciana di Massimo Ghirotto in montagna di una ventina di anni fa. E' il primo segno della sveglia, che arriva puntuale quando Davide Cassani fa notare l'orologio che indossa l'uomo in fuga in quel momento, Barredo appunto, affermando:
Questo orologio consente un maggiore equilibrio e dei vantaggi soprattutto in discesa e in pianura
o qualcosa del genere: il senso, però, è questo, una sorta di sicurezza sulle proprietà dell'orologio. Poi, inserendosi Alessandra De Stefano nella discussione, ecco che la certezza diventa un si dice: non poteva essere diversamente di fronte alle affermazioni della brava giornalista di Rai Sport riguardo l'assenza di miglioramento nell'equilibrio anche di fronte a una decina di orologi indossati. Potete immaginare, quindi, quanto questa bufala o, per essere buoni, questa sorta di placebo sportivo mi abbia definitivamente svegliato: sarei saltato alla giugulare del povero Cassani, comunque bravo e puntuale commentatore nel complesso.
A questo punto, dopo le salite, le discese, spendiamo oggi un altro po' di tempo sull'equilibrio.
Uno dei sistemi che vengono generalmente utilizzati per rendere stabile l'equilibrio, sia su terra sia in aria, è il giroscopio.
Per giroscopio si intende, come definizione formale, un corpo rigido in cui un punto è mantenuto fisso da un opportuno sistema di vincoli(1). Per semplificare possiamo dire che nel giroscopio esiste un unico punto fisso rispetto al resto, in moto relativamente a questo centro.

martedì 20 luglio 2010

Discesismi

In questi giorni gli atleti che partecipano al Tour de France 2010 stanno affrontando le cime pirenaiche. Durante la tappa di ieri Andy Schleck, il talentuoso scalatore lussemburghese, rimasto senza il supporto del fratello Frank, a causa di un salto di catena nel momento dello scatto finale (scatto che poteva essere decisivo per la classifica), perde il contatto con il suo principale avversario, il campione uscente Alberto Contador. Nonostante il recupero incredibile nei chilometri finali della salita, è in discesa e successivamente in pianura che il lussemburghese perde, alla fine per 8 secondi, il primo posto nella classifica generale e quindi anche la maglia gialla.
Oltre alle salite, dunque, anche le discese sono una fase importante e spesso anche determinante nelle tappe di montagna dei grandi giri: è quindi per questo motivo che, dopo aver esaminato la fase di salita in bici, cerchiamo oggi di esaminare cosa succede quando si affronta una discesa.
Per semplificare la descrizione del problema operiamo una delle tante approssimazioni tanto amate dai fisici, e non la famosa approssimazione sferica, ma approssimiamo il nostro ciclista con un'asta sottile con il centro di massa al centro dell'asse.
La stabilità meccanica di un oggetto può essere così semplificata: \vec R = \vec 0 \vec M = \vec 0 dove \vec R è la somma delle forze che agiscono sull'oggetto, mentre \vec M è il momento angolare dell'oggetto. Concentriamoci sul momento \vec M: \vec M = \vec r \wedge \vec F dove \vec F è la forza che agisce sull'oggetto, mentrre \vec r è la distanza tra il punto di applicazione di \vec F e, almeno per quel che ci interessa, il centro di massa, mentre il simbolo \wedge indica il prodotto vettoriale, un particolare prodotto tra vettori che produce come risultato un altro vettore che ha lunghezza massima quando \vec r e \vec F sono perpendicolari e nulla quando sono paralleli.

domenica 18 luglio 2010

Scalando il Tourmalet

Per arrivare su in cima al Tourmalet, i ciclisti del Tour de France 2010 arriveranno giovedì, ma nel frattempo oggi inizia il primo tappone pirenaico (di quattro). Una delle caratteristiche tecniche con cui le salite, nel ciclismo, vengono identificate è la pendenza, ma cosa è la pendenza di una salita?
Come al solito ci viene in aiuto la matematica: la pendenza di una retta è definita come la tangente dell'angolo, ovvero il rapporto tra la differenza di altitudine e le ascisse dei punti finale e iniziale della salita \frac{\Delta y}{\Delta x} = \tan \alpha con \alpha angolo del piano inclinato.
Per esempio una salita del 10% di pendenza ha una altezza di 10 m contro una lunghezza sulla superficie di 100 m:
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A questo punto, in attesa che gli atleti inizino a salire sulle montagne dei Pirenei, si potrebbe valutare la spesa, in termini energetici, del singolo atleta, ovvero il lavoro compiuto da ciascun ciclista.

sabato 17 luglio 2010

A spasso con zio Sfrizzo

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Dopo il dottor Enigm, con l'arrivo di Bill Walsh la scienza ritorna protagonista, prima con la lunga Topolino nella II Guerra Mondiale (Michey Mouse on Secret Mission), quindi con la fantascientifica avventura sul Pipistrello, ma soprattutto con La cassetta elettronica (Michey Mouse and the 'Lectro Box), una particolare invenzione costruita per caso da Topolino nel tentativo di riparare la sua radio distrutta per sbaglio da Minni.
Interessanti le striscie del 27 e del 28 ottobre 1943, quando Topolino spiega a Tip cos'è un elettrone:
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Questa enità di elettricità è un elettrone! Un tipo piccolo, ma forte e asturo!
Impedisce agli auerei di schiantarsi sulle montagne... E sa riconoscere un'arancia cattiva cossiché non rovini un carico di frutta...
Uccidono i microbi... Guidano le auto... E tengono persino insieme le dentiere!
Quante belle cose che fa l'elettrone secondo Topolino negli anni Quaranta, vero? Perspicace il bravo Tip:
... E, ci scommetto, fanno migliaia di altre cose che la gente non immagina neppure!
E gli elettroni prodotti dalla scatola costruita da Topolino nella storia di Walsh e Gottfredson fanno veramente molte cose, dalla sparizione di oggetti e vestiti, all'ingrandimento di microbi, fino alla comparsa di un antenato di Topolino dal passato pionieristico degli Stati Uniti. Questo è solo il primo contatto di Topolino con i viaggi nel tempo, un tema abbastanza ricorrente nelle strisce di Mickey Mouse durante il periodo Walsh.
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A causa di una botta in testa, Topolino inzia a sognare, come si scoprirà alla fine della storia, di finire in un lontano futuro per vedere Le meraviglie del domani (The World of Tomorrow). La storia ricorda in un certo senso l'allora sconosciuto e inedito A noi vivi di Robert Heinlein, dove il protagonista si risveglia, dopo un incidente, nel futuro, in un mondo incredibilie, culturalmente e socialmente, prima ancora che tecnologicamente più avanzato del suo tempo.
Un po' la stessa cosa di quello che succede a Topolino: tutti gli abitanti, animali compresi, hanno un mezzo che gli consente di volare, persino un cucù dell'orologio come mostrato dalla striscia del 9 agosto 1944. Al di là, però, dei contenuti della storia e delle meraviglie tecnologiche del mondo immaginato da Topolino, una delle caratteristiche della storia è la presenza dei robot antropomorfi, in questo caso guidati da Gambadilegno. La vittoria finale di Topolino avverrà solo grazie all'aiuto di un robot femmina che si ribella a Gambadilegno, pensando in maniera autonoma: il collegamento con Turing, forse non voluto dai due autori, è comunque abbastanza semplice da fare, senza contare quello con il Tetsuwan Atom (Astro Boy in Italia) di Osamu Tetsuka. Nel manga, infatti, spesso si torna sul valore delle emozioni, e proprio una riprogrammazione delle emozioni agevolerà la sconfitta del cattivo.
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Sugli automi nel mondo di Topolino avremo modo di tornare, mentre sui viaggi nel tempo, questa volta reali, si arriva presto, all'inizio della Macchina Toc Toc (Uncle Wombat's Tock-Tock Machine), il 22 ottobre 1951, quando Pippo affida a Topolino la custodia del suo timido e geniale zio Sfrizzo (Wombat in originale).
Nella prima parte Topolino e Sfrizzo iniziano una vera e propria passeggiata nel tempo: lo scienziato attiva una sorta di metronomo da polso che in realtà è una macchina del tempo portatile che con le sue oscillazioni fa cambiare il tempo intorno ai viaggiatori e i loro stessi abiti. I due, quindi, passeggiando, cambiano ambientazione, conoscendo anche Benjamin Franklin durante uno dei suoi leggendari esperimenti sui fulmini. La parte più corposa della prima parte, il viaggio nel passato, è un'avventura nell'antica Roma, che si conclude con una fuga dal palazzo dell'imperatore a bordo di una biga. In un certo senso, grazie al metronomo temporale di Sfrizzo, la biga, che modifica via via la sua forma, diventa una sorta di DeLorean ante litteram fino a che, come la mitica macchina di Robert Zemekis, non conclude il suo viaggio nel lontano futuro. Ancora una volta i due cronauti si trovano di fronte un mondo incredibile, con invenzioni fantastiche e non proprio gradite, come il ristorante che invece di cibo serve aromi, o la corriera che compie in sedici secondi il viaggio da Calcutta a Parigi.
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Il mondo moderno, come qui scoprono Sfrizzo e Topolino, è retto da fiori antropomorfi: anche in questo caso, come per il Pianeta minorenne, o come per il romanzo e poi film Il pianeta delle scimmie, il genere umano è stato soppiantato nel governo del pianeta da una razza diversa, evolutasi più velocemente dell'uomo e apperentemente più saggia. Il mondo dei fiori, che ricorda molto i fiori di Alice nel Paese delle Meraviglie (il film disneyano), in realtà si rivela in tutto simile per invidia e intrighi al vecchio mondo degli umani e così i nostri sono ancora una volta costretti alla fuga e solo il caso li riporterà nel tempo di origine. Interessante, e concludiamo le connessioni letterarie, il tema del disadattamento temporale: anche in questo caso Topolino e Sfrizzo non sembrano gradire i cambiamenti nella società, come ad esempio succede ai protagonisti di Le meraviglie del 2000, romanzo fantascientifico di Emilio Salgari.
Il viaggio nel tempo è uno dei temi più interessanti nella letteratura fantascientifica sin dai tempi de La macchina del tempo del 1899 di George Wells, dove il protagonista viaggia tra le epoche a bordo di uno scranno temporale, che probabilmente ispirò Jack Kirby nell'ideazione di Metron e del suo trono, anch'esso una macchina in grado di viaggiare nel tempo e nello spazio, come ricorda la relatività. Altro autore che in questo caso mi piace citare è il bravissimo Paul Anderson, fisico, che scrive una serie di racconti, con due romanzi, sulla Time Patrol, la Pattuglia del Tempo, dove grazie a una sorta di motocicletta temporale gli sceriffi del tempo viaggiano in missione segreta per correggere i crimini temporali che di volta in volta vengono commessi: la serie è più interessante dal punto di vista storico che non scientifico.
Il tempo e la possibilità di viaggiare nel tempo non sono solo un'idea fantascientifica, ma molto scientifica. All'interno della teoria delle stringhe, che si spera si riesca a confermare o smentire definitivamente grazie agli esperimenti dell'LHC, emerge una particolare particella, il tachione, teoricamente in grado di viaggiare indietro (o avanti) nel tempo.
Il tempo, poi, è oggi protagonista anche del dibattito scientifico: è da considerarsi reale, immaginario, una via di mezzo? O forse semplicemente emerge perché l'universo è governato dalla seconda legge della termodinamica? La questione verrà ad esempio dibattuta nel prossimo numero di agosto de Le Scienze in un articolo di Craig Callender, Il tempo è un'illusione?
Il dibattito sulla natura del tempo è uno dei più accesi nella fisica di oggi. Oltre alle due concezioni opposte - che il tempo non esista o che sia ancora più fondamentale di quanto crediamo - se ne sta affermando una terza: il tempo non avrebbe un'esistenza indipendente ma emergerebbe come modo per descrivere le relazioni tra gli oggetti.
In attesa di approfondire, date un'occhiata all'articolo di Stefano Gusmann in merito alle ipotesi teoriche di Alain Aspect.

martedì 13 luglio 2010

I re del Sole


Titolo: I re del Sole
Autore: Stuart Clark
Edizione: La biblioteca de Le Scienze
Era l'1 settembre del 1859 quando Richard Carrington osservò uno dei più grandi e importanti brillamenti solari a memoria d'uomo. La Terra venne investita da un'intensa attività magnetica, che a occhio nudo si manifestò attraverso intense e bellissime aurore boreali, visibili anche a latitudini inconsuete, come ad esempio a Lunenburg dove vennero osservate da William Rogers, che ne tracciò un resoconto quantomai dettagliato.
L'11 novembre dello stesso anno, Carrington insieme con Richard Hodgson, di fronte alla Royal Astronomical Society, lesse il suo resoconto dell'osservazione allegando anche le immagini tracciate a mano durante l'evento.

I disegni di Carrington - commons
L'avventura degli astronomi che si occuparono del Sole, però, mosse i primi passi sul finire del 1700 in contemporanea con l'inizio dell'epopea della famiglia Herschel, una delle più importanti all'interno della storia dell'astronomia moderna. Con grande lucidità e intelligenza, con passione e con un ritmo che cattura il lettore nella lettura, Stuart Clark ne I re del Sole ci accompagna attraverso i misteri dell'osservazione solare. Lo studio del Sole è uno degli aspetti dell'astronomia e dell'astrofisica tra i più difficili: le difficoltà sono dovute all'attività solare superficiale della nostra stella, sia quella visibile (brillamenti, eruzioni, macchie solari), sia quella invisibile (vento solare, emissione del campo magnetico); queste attività non sono completamente comprese, anche a causa della nostra non conoscenza sull'interno del Sole. La sua struttura interna, infatti, viene ricavata a partire dai dati rilevati dall'esterno e da come questi si adattano ai modelli noti. A complicare il tutto c'è anche l'influenza che il Sole ha sulla Terra, un'influenza legata sia alla quantità di energia che rilascia verso il nostro pianeta, sia all'interazione dei due campi magnetici.

William Herschel - via commons
Il primo ad aver intuito un legame tra il clima della Terra e l'attività solare fu William Herschel, il quale entrò di prepotenza nella scienza del Sole allorquando introdusse una terza teoria su cosa fosse la nostra stella: un luogo abitato da esseri vivienti, né più né meno come la Terra.
Se le idee e le attività di Hershel, al tempo cinquantenne, si fossero limitate a questa, probabilmente oggi sarebbe solo un personaggio minore nel panorama della storia dell'astronomia, ma per nostra fortuna Hershel fu innanzitutto uno dei migliori costruttori di telescopi (la loro qualità rivaleggiava con quelli degli osservatori reali), ma soprattutto, come ho anticipato, ebbe la grande intuizione di collegare l'attività solare con il clima terrestre. Per verificare ciò lo aspettava un lavoro lungo e improbo per confrontare l'attività solare degli anni precedenti con il prezzo del grano, un indicatore riguardo la quantità di grano prodotta ogni anno.
E a questo punto Clark tesse i collegamenti che allora l'astronomia, la nascente climatologia e la geologia, soprattutto con le tesi che poi porteranno all'evoluzione, avevano una con l'altra: un arazzo, un collegamento tra discipline differenti che concorreva e dovrebbe concorre ancora oggi a una migliore descrizione del Sole e delle sue interazioni con il nostro pianeta.
Fanno così capolino nella storia degli studiosi del sole personaggi come Alexander von Humboldt, uno dei primi climatologi; Edmond Halley, l'astronomo che ha dato il suo nome a una delle più famose comete in assoluto; Samuel Heinrich Schwabe, farmacista tedesco e astronomo amatoriale, le cui decennali osservazioni sarebbero state estremamente utili ai re del Sole; John Hershel, ultimogenito di William, che, dopo aver sempre negato la sua passione per le stelle, alla fine prese il testimone dal padre, diventando un astronomo ancora più rispettato.
La prima parte del libro, incentrata sugli Herschel, sfuma nella seconda, centrata su Carrington, grazie alla contemporaneità degli studi dei due studiosi. Richard Carrington, astronomo brillante sempre in lotta con il potere, che gli nega i fondi o gli fornisce cifre inferiori alle sue attese, è spesso messo in secondo piano nonostante i risultati e le pubblicazioni. E' in un certo senso la storia tipica di un ricercatore senza agganci politici, alla quale si aggiunge anche un tocco di mistero a causa della moglie, in realtà legata a doppio filo a un uomo misterioso che si era presentato a Carrington come l'ingombrante fratello, rivelandosi poi il possessivo amante. La storia si concluse, come molte storie di passione tormentate, con la morte violenta, lasciando così un alone di mistero in una vita difficile, a tratti anche di stenti, per la maggior parte votata al Sole e alla ricerca delle sue anomalie.
Certo durante le peripezie di Carrington, la scienza continuava a muoversi e i suoi progressi avvennero non solo grazie ai contributi del geniale Richard, ma anche grazie all'apporto di altri valenti scienziati, nonostante i giochi politici che portarono alla creazione di società e sottosocietà astronomiche, ognuna sponsorizzata da un politico interessato al prestigio piuttosto che alla scienza.
Prima di avviarci, però, verso l'ultima parte del libro, sono necessarie un paio di fermate: innanzitutto da Joseph von Fraunhofer, vetraio, figlio di vetraio, proprio mentre stava perfezionando il suo vetro riscopre le righe scure dello spettro solare già scoperte nel 1801 dal chimico inglese William Wollaston. Le righe scure di Fraunhofer, come ben sappiamo oggi, sono collegate con la composizione chimica dell'atmosfera solare: questa idea, però, intuita da molti scienziati alla diffusione dei dati del giovane vetraio, venne verificata da Gustav Kirchhoff, fisico, e Wilhelm Bunsen, chimico: un altro mistero del Sole, la sua composizione, poteva finalmente venire svelato.
Ovviamente la sfida al Sole non poteva dirsi conclusa, e mentre Carrington era alle prese con i suoi problemi scientifici (che gli davano soddisfazioni) e personali (che al contrario creavano problemi, prima con la non brillante siatuazione economica, poi con le complesse vicende coniugali), Warren De La Rue si preparava per osservare l'eclissi di Sole totale del 18 luglio 1860, scegliendo la Spagna e il villaggio di Rivabellosa come luogo per le sue osservazioni. L'impresa portò allo scatto di una fotografia epocale, la prima foto di una eclissi solare:

Una delle prime foto di un'eclissi solare tratta da On the solar total eclipse of July 18th, 1860 observed at Rivabellosa, near Miranda de Ebro, in Spain di Warren De La Rue
L'ultima parte del libro è sostanzialmente dedicata all'erede di Carrington, la cui morte avrebbe in realtà lasciato un vuoto difficilmente colmabile. Edward Walter Maunder, impiegato di banca londinese, da sempre appassionato di astronomia, tra il 6 novembre del 1873 inizia a lavorare presso l'Osservatorio di Greenwich alle dipendenze dell'Astronomo Reale George Airy.
I successi di Edward Maunder nel campo non sono da ascriversi solo all'apprendistato con Airy, ma anche alla collaborazione con Annie Russell, che nel dicembre del 1895 sarebbe anche diventata sua moglie. Annie, oltre ad essere una brava astronoma, si rivelò anche un'ottima inventrice, perfezionando una particolare macchina fotografica che la coppia utilizzò per immortalare l'eclissi di Sole del 18 gennaio 1898 in India:

Eclissi del 1898 - via commons
Grazie a questa foto e a quella scattata durante l'eclissi del 18 maggio 1901, e grazie ai dati solari che Maunder, grazie al suo lavoro privilegiato era in grado di ottenere, opportunamente rielaborati dalla coppia, i coniugi Maunder riuscirono a dimostrare che il Sole emetteva fasci di particelle, alcuni di questi diretti verso la Terra secondo una certa periodicità.
Con Edward e Annie Maunder, quindi, ha inizio l'ultima fase dell'astronomia moderna, quella che porterà allo stato attuale delle ricerche, guidate dai gruppi della Nasa. Oltre ai satelliti di monitoraggio del pianeta, sono infatti in orbita satelliti che esaminano l'attività solare e cercano sempre maggiori dati per conoscere la nostra stella e i suoi legami con il clima e i cambiamenti climatici. E oggi nuove sfide arrivano anche dallo spazio profondo: energie incredibili provenienti da oggetti lontani potrebbero anch'esse influenzare il clima e l'ambiente terrestri: questi progetti, paralleli a quelli che cercano di capire il peso dell'apporto antropico ai cambiamenti climatici degli ultimi secoli, sono forse la risposta migliore ai così detti negazionisti, che accusano l'agenzia spaziale statunitense di far parte di un complotto globale. La Nasa, al contrario, esplora tutte le possibilità, essendo innanzitutto un'organizzazione scientifica, e non ha colpa alcuna se gli altri progetti ancora non hanno fornito dati significativi nello studio del clima e delle stelle.
Prima di lasciare libero il lettore dopo questa lunga cavalcata, suggerisco la lettura della recensione di Aldo Piombino, in particolare della sua conclusione, che condivido parola per parola.

sabato 10 luglio 2010

Il pianeta minorenne

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Eta Beta, vero e letteralmente unico Uomo del domani del fumetto statunitense, giunge dal futuro nel presente nella Topolinia di fine anni Quarante del XX secolo attraverso una caverna, un foro nella Terra. Da allora il simpatico personaggio ideato da Bill Wlash e Floyd Gottfredson ha imperversato per tre anni nelle strisce del Topolino quotidiano, diventando anche occasione per i due autori per parlare di fantascienza e dunque anche di scienza. Abbiamo già visto Eta Beta alle prese con le invenzioni grazie all'atombrello, causa dei loro problemi con la Spia Poeta. Dopo quell'esperienza Topolino intima all'amico di non inventare più, però il richiamo dell'attività manuale è troppo forte e così a partire dalla striscia dell'8 marzo 1949, la seconda della storia, Topolino ed Eta Beta nel pianeta minorenne (Mickey Mouse and Eega Beeva in "Be-Junior and the Aints") Eta riprende in mano martello e fiamma ossidrica per costruire all'amico una macchina più veloce ed efficiente. Il progetto, però, muta molto rapidamente nella costruzione di un razzo lunare dopo aver visto su un giornale del nipote di Topolino, Tip, la rappresentazione delle presunte seleniti, le abitanti della Luna.
Così 20 anni prima della missione sulla Luna di Armstrong e compagni, Topolino ed Eta Beta si avviano verso il nostro satellite, e inizia un'avventura tra scienza, fantascienza e un pizzico di fantasy. Andiamo però con ordine e il primo approccio con la scienza, non ben approfondito dai due cartoonist disneyani, è con la velocità di fuga:
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